📱 Pubblicità 2.0: L’influencer marketing

L’influencer marketing è la pubblicità dell’era social. Dépliant e spot televisivi ci convincono sempre meno perché ormai sappiamo riconoscere le strategie di marketing applicate ai vecchi media. Inoltre, il nostro sguardo non è più rivolto alla televisione ma al telefono e un esperto di marketing sa che un prodotto va piazzato proprio lì, dove l’occhio si ferma.

 

Per tutte queste ragioni il posto perfetto per la pubblicità 2.0 è diventato la home page di un social o, ancora meglio, un post o un tiktok dell’influencer del momento.

 

Ma funziona davvero? Beh, se di recente volevate comprare un burrocacao Labello perché avevate una certa nostalgia dell’effetto lipstick anni 90 ed erano tutti esauriti avete la prova di come l’influencer marketing funzioni alla grande. Infatti, Labello, dopo aver avviato una collaborazione con la creator e tiktoker Alessia Morello aka “Queen dei Labello”, ha registrato una crescita esponenziale delle vendite. La beauty guru ha riportato in auge quest’icona sacra dei millenial inserendola nei suoi consigli di make-up e beauty e i suoi 220mila follower hanno iniziato a prendere d’assalto gli espositori dei supermercati.

Non si tratta forse di ripensare la vecchia strategia del passaparola? La differenza è che ora quel tamtam non è più alla base delle conversazioni faccia a faccia ma di quelle a senso unico delle storie di Instagram dove spesso compare l’hastagh #Adv.

Ma quali sono i criteri con cui vengono scelti gli influencer da un’azienda per incrementare brand awarness e brand trust?

  • Ogni influencer ha il proprio social di riferimento. Per esempio, ingaggiare un famosissimo youtuber per una campagna Instagram non è un buon investimento;
  • Il numero di follower non fa il marketing. Un influencer seguitissimo ma estraneo alla nicchia del prodotto dell’azienda non porterà un engagement considerevole. È meglio individuare influencer meno conosciuti, ma più affini a ciò che si vuole vendere. Sempre più aziende abbracciano infatti le strategie di micro e nano influencing perché offrono l’impressione di un messaggio più simile al consiglio di un amico, il vecchio passaparola.
  • Comunicazione e valori condivisi tra azienda e influencer così da allineare il proprio tone of voice.

Per fare un esempio, pensiamo ancora alla beauty guru Alessia Morelli: è giovane e credibile verso il proprio pubblico; pubblico a cui si rivolge anche Labello con il proprio prodotto evocativo ed accessibile, anche in termini economici. Ben fatto Labello!

Un altro esempio che può diventare un case study di influencer marketing è il post con cui Chiara Ferragniinvitava i propri follower nel 2020 a visitare il museo degli Uffizi. Poco dopo si è registrato un boom di visitatori pari al +24%, soprattutto giovani. Se non c’è Chiara Ferragni senza polemica, non dimentichiamo che l’influencer è stata accusa di essere “inadeguata” a veicolare messaggi di un calibro culturale del genere ma, d’altro canto, non è certo conservando gelosamente la cultura nelle roccaforti accademiche che la si renderà più accattivante per una comunità.


Se poi incrociamo queste notizie con quello che stimava l’Istat nel 2016 ossia che il 69,2% degli italiani non sono mai entrati in un museo e che i più assenti sono proprio i giovani possiamo riflettere su come il patrimonio culturale italiano non disponga di un canale efficace per comunicare con la Gen-z.

Non sarebbe più proficuo spingere anche la comunicazione culturale a cavalcare l’onda dell’influencer marketing con intelligenza per aumentare l’awarness del patrimonio artistico del nostro paese?

A questo punto si dirà il tentativo è stato fatto: abbiamo la Venere influencer!!1!1

Appunto, un disastro. Svecchiare la concezione della cultura è cosa buona e giusta che ogni operatore culturale dovrebbe avere premura di perseguire ma facendolo almeno con metodo. Per esempio seguendo le regole del marketing. Il che di certo non significa svendere il patrimonio di un paese alla pura logica della fruizione superficiale ma prendere atto della forza dei social, utilizzandoli in maniera accorta.

In questo caso allora quel tiktoker così bravo con il montaggio video può instillare in noi la curiosità di voler vedere di persona quel posto, quel quadro. E se la minaccia maggiore è quella di avere una conversione di ragazzi alla storia dell’arte penso valga la pena correre il rischio.

Del resto non siamo nemmeno più così ingenui, sappiamo che la marchetta è sempre dietro l’angolo ma come sempre, conoscendo le regole del gioco, si può essere più consapevoli di ciò che si guarda. A tal proposito non dimentichiamoci che anche buona parte dei capolavori della nostra storia dell’arte sono opere che i signori commissionavano ai grandi artisti per promuovere sé e il loro regno. Che dire, nihil sub sole novum!

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